ZERO

 

Zero

#Dayshelseveryet‬

Giorno – Uno –

– Che sta facendo Pinco Pallo?
– Sta cercando di fissare su un cavolo di foglietto i suoi deliri, un fenomeno sociale molto mainstream di questi tempi.
– Riversare su carta i propri patimenti interiori?
– No, passare dalla tastiera alla penna.
– Secondo me dovresti trovarti un hobby diverso dagli psicofarmaci.
– Ehi, non sottovalutare la mia dedizione per l’intrattenimento in pillole, occorre metodo e misura per farne un’arte.
– Che ne dici di fare di necessità virtù e sfruttare il tuo temperamento irritante per infastidire il ragazzino, magari interrompendolo prima che se ne penta?
– Lo trovo di pessimo gusto.
– Ragione in più perché dovresti essere incline ad assecondarmi.
– Ho idea tu abbia una pessima opinione di me.
– Lo vedi che su qualcosa siamo d’accordo?
– Postulare con lapalissiana mendacia la mia approvazione, non ti restituirà all’ensemble delle persone che stimo.
– Quindi, in sostanza, farai ciò che dico con rammarico?
– Probabilmente sì, ed è questo che mi rammarica.
– Posso continuare per tutto il giorno.
– Vado.

Il ragazzino dalla zazzera scarmigliata, uno strano potpourri di filamenti castani, bianchi e celestini, poggiava la schiena contro un vecchio muro scrostato; tra le crepe si poteva scorgere un reticolato di scritte nostalgiche e alcune fantasiose imprecazioni. Si rigirava tra le dita inanellate un foglio sgualcito, mentre una biro nuova di zecca – nera come il suo umore – gli pendeva dalle labbra socchiuse. Sospirando abbozzò uno scarabocchio incomprensibile a piè pagina, poi decise coraggiosamente di approntare un mezzo tentativo di missiva.

“Caro Leoncino, se leggi queste righe vuol dire che le sigarette sono finite, gli accendini spariti e la birra è sotto chiave. Quando…”

– Ehi, Ernest, che stai combinando?
– Hemingway?
– Pensavo più a Rutheford, per associazione di teorie straordinarie…straordinariamente nocive per l’uomo.
– Non so chi sia.
– Mai stato in Nuova Zelanda?
– È una proposta?
– Non serve stare sulla difensiva, un intellettualoide paranoico da queste parti basta e avanza. Tu sai quanto riesca ad apprezzare i prodigi del linguaggio scritto, ma credo tu abbia avuto una pessima idea. Anzi, diciamo che sei ancora in tempo per frenare l’istinto e spronare la logica.
– Grazie del consiglio, però non dovete preoccuparvi. Sto solo facendo ciò che ritengo giusto.
– Pericolosamente autoreferenziale.
– Cosa?
– La verità dietro la quale ti sei trincerato per segarti d’illusioni.
– Hai appena cercato di dissuadermi facendo un riferimento sessuale equivoco?
– L’onanismo ideologico è un vezzo demodé, quindi è mio preciso compito riportarti alla ragione. Volendo posso anche portarti a pu**ane, tanto per deviare dalla semantica alla semina.
– Strano modo di uscire di scena, apprezzo l’originalità.
– Uscire di scena? Allora non mi hai ascoltato, ho detto…
– Devo finire di scrivere questa lettera, a dopo.
– Pizza, cinema, passeggiata in centro?
– A dopo.
– Droghe?
– A d’oppio.

L’elegante ometto barbuto fece dietrofront, tornando a pascolare nei pressi della panchina dove l’attendeva il compare. Buttò giù un paio di pasticche di Fluoxetina sgranocchiandole come fossero noccioline. L’altro, sbuffando rumorosamente, inarcò un sopracciglio, prendendolo a fissare con calcolata sufficienza.

– Insomma? Com’è andata?
– Bene per lui, male per noi.
– Non l’hai fermato?
– Ho tentato di dissuaderlo con argomentazioni mirate: tutto inutile.
– Tenta di nuovo e questa volta lavora di cuore, non solo di cervello.
– Bella la vita da lassù, vero? Appena scendi dal piedistallo perché non provi tu a farlo desistere?
– Perché non mi ascolterebbe.
– Pensiero comprensibile, condivisibile e per il sottoscritto largamente auspicabile.
– Se mi accontenti vedrò di esaudirti.
– Giurin giuretto?
– Sono sul punto di cambiare idea.
– Vado.

Il ragazzino aveva cancellato quanto scritto in precedenza con furiose stoccate d’inchiostro. Sistemandosi meglio contro la parete, diede il via al suo secondo personalissimo tentativo.

“Caro Leoncino, se stai leggendo queste righe vuol dire che sono sopravvissuto alle lusinghe dell’erotismo da marciapiede, a quelle di un buon film e perfino al miraggio della pizza d’asporto. Sai…”

– Patatine.
– Oh God!
– Ricordo che hai sempre avuto un debole per le patatine e credo costituiscano un’alternativa migliore all’ostinazione romanzata. Molla tutto e lasciati guidare al fast food più vicino.
– Perché intanto non ti avvii? Sarò da te in un lampo.
– Questa tecnica non funzionerebbe nemmeno se fossi uno scolaretto implume.
– Strano, ho iniziato a pensare la stessa cosa da quando hai aperto bocca.
– Guarda che sto facendo del mio meglio.
– Anche io.

“Caro Leoncino, se leggi quanto segue vuol dire che il mio sodalizio con patatine e tuberi affini è giunto al termine. Vorrei…”

– Non puoi continuare a tenere un simile comportamento. Discrimini rucola e sedano dalle insalate, accumuli quantità smodate di ghiaccioli all’arancia nel congelatore e studi, nell’anonimato di un sottoscala, criptiche ricette per preparare lasagne al forno.
– Non è un piano per la conquista del mondo, se è questo che ti preoccupa.
– Anche Hitler era solo uno stramboide con pessimi gusti artistici e una nonna ebrea.
– Prima o poi intendi argomentare sensatamente i tuoi rimbrotti?
– Dico solo che insigni studiosi hanno riconosciuto il valore formale di un buon consiglio, perciò risparmia a te stesso la leziosità di una legge incontrovertibile.

“Caro Leoncino, se mai leggerai questa…”

– L’offerta di svago, con annessi e connessi, è ancora valida. Vuoi che ci aggiunga del pillolame per blandire la tua reticenza?

“Caro Leoncino, se…”

– Non posso spingermi oltre il porno, perché trovo spossante qualsiasi altra attività richieda del tatto non concettuale. Il mio consiglio è di preferire il gaudio svagato a l’amor cortese, o qualsiasi altra aberrazione figurativa concepiscano i media odierni.

“Caro Leoncino…”

– No, davvero. Perché dei ghiaccioli all’arancia?

“Caro Leoncino, a domani.”

***

Giorno – 2 –

“Caro Leoncino, ti scrivo perché – volendo raggiungerti – non ho altro modo di viaggiare se non all’inseguimento di questi pensieri, un copioso numero di propositi che devo inchiodare al foglio con la penna. Crocifiggo le intenzioni per accorciare la condanna e voglio tu sappia dove trovare rifugio, dove…”

– Stai facendo testamento?
– Oggi vi siete dati il cambio?
– Una scelta necessaria, vista la tua cocciutaggine. Sprechi tempo, carta ed energie. Cristo, un martirio coi fiocchi.
– Biblicamente corretto, perciò se mai avrò bisogno del corredo adeguato sarai il primo che contatterò.
– Non vorrai che ti frusti, vero?
– Ho il tremendo sospetto che ti piacerebbe farlo a prescindere da ciò che sto tentando di scrivere.
– Ammetto che alle volte basta un solo colpo ben assestato per correggere il tiro.
– Ti riferisci alla lettera?
– In realtà alla tua strana passione per l’arancia.
– Non so di cosa tu stia parlando.
– Tralasciando il contenuto del congelatore, cosa mi dici del frigo? Due confezioni di succo d’arancia rossa? Davvero? Nemmeno se fossi diabetico riusciresti a sbronzarti buttandole giù alla goccia.

Il ragazzino si accasciò lungo una delle colonne che delimitavano l’accesso al porticato, lasciandosi sfuggire l’ennesimo sospiro. Sebbene fossero in estate, il tepore serale era stemperato da una brezza pungente, un velo di gelo impercettibile che aggrediva il tramonto, avvolgendo gli ultimi fiocchi di luce in una stretta ambrata, prossima a disfarsi. L’omaccione era ancora in piedi, cappellaccio a larghe falde calato sul volto e giacca rattoppata. Ciancicava un mozzicone di sigaretta che non accendeva mai, passandolo da un angolo all’altro della bocca mentre parlava con quel suo tono monocorde, lievemente sprezzante. Il ragazzino si passava nervosamente le dita tra le ciocche setose, forse nel vano tentativo di raccogliere i pensieri, ma dalla sua espressione corrucciata non pareva sortisse un grande effetto.

– Abbiamo un gran numero di film da vedere.
– Non mi pareva stessi stilando una lista.
– Sai che siete entrambi molto irritanti ed insistenti?
– Sembra che ormai sia una patologia abbastanza diffusa. Noi però non usiamo penne e foglietti.
– Non sei stato tu a dirmi, tanto tempo fa, che le rinunce sono demoni che ti sbranano poco per volta?
– Impossibile, l’essere ateo mi dispensa dal credere a ca**ate del genere.
– Parli dei demoni?
– No, delle rinunce. Accettare un concetto simile implica che debba sbattermi fortemente per ottenere qualcosa e che quindi, di conseguenza, ci debba pure credere. Però io sono un ateo a tutto tondo, quindi niente eccezioni.
– Eppure ti stai sbattendo per evitare che concluda questa lettera. Cos’è, un atto d’incoerenza retroattiva?
– In realtà, non credendo alla coerenza, ritengo i miei svarioni accettabili. Puoi chiamarla fregatura circostanziale.
– Avevo in mente una definizione simile, ma con molte parolacce nel mezzo.
– Potrei offendermi.
– Dovresti.
– Non servirà a mandarmi via.
– Quest’imbeccata serve invece a suggerirmi altri epiteti coloriti con i quali esortarti a cambiare idea, giusto?
– Se vieni assieme a me la smetto subito.
– Accomodati pure.

“Caro Leoncino, sai che porto ancora con me la spada che mi hai donato? Adesso vorrei proprio usarla su qualcuno. Come un moderno cavaliere che si erge tra…”

– Non è un filo troppo epico?
– Sbirciare non è un filo inopportuno?
– Ho pensato fosse meglio evitarti figuracce. Quello che lasci nero su bianco ti frega due volte: la prima da scrittore e la seconda da lettore.
– Ti metti a sciorinare sofismi d’artista tormentato?
– Sto avendo a che fare con uno di loro e così cerco di giocare alla pari. Amami, so che lo vuoi.
– Fai sul serio?
– Mai.

“Caro Leoncino, se stai leggendo questa lettera vuol dire che sono sopravvissuto alle avances di un rompi balle fatto e finito. In realtà vorrei dirti…”

– Se vuoi davvero parlarci perché non usi il telefono? Sai, quell’aggeggio che non funziona mai quando dovrebbe, squilla sistematicamente nel momento sbagliato e si spegne solo quando ne hai strettamente bisogno.

“Caro Leoncino, quando leggerai queste righe avrò sviluppato un odio ancestrale per la telefonia e…”

– Andiamo, hai una calligrafia illeggibile! Sembra tu stia strozzando le parole con la biro.

“CARO LEONCINO, SE TI CHIEDI PERCHÉ STO SCRIVENDO IN STAMPATELLO MAIUSCOLO DEVO CONFESSARTI CHE…”

– Secondo me era meglio prima, in questo modo le lettere appaiono perfino più brutte. Torna al corsivo e limita i danni.

“Caro Leoncino, assieme alla pazienza in esaurimento manchi tanto anche tu e…”

– Ricordi quando ho parlato di frustate? Non scherzavo.

“Caro Leoncino…”

– Ora che ci penso non ho mai acquistato una frusta. Per la legge commutativa sulla coerenza, posso cambiare sferzate in sberloni?

“Caro Leoncino, a domani.”

***

Giorno – 3 –

– La verità è che ho bisogno di credere in qualcosa. Non sono religioso, non seguo il calcio e per quanto mi riguarda sulle fate preferisco soprassedere. Per me, il più grande atto di fiducia, è riuscire ad affrontare ogni giorno accanto a qualcuno che consegni le mie maschere al passato.
– Poetico, inflazionato. Sai, ho idea sia un obbiettivo comune e comunemente mancato.
– Non pretendo sia facile, però accettare una visione diversa dalla propria, in alcuni casi, significa permettere al cambiamento di derubarci della nostra identità.
– Altro concetto gettonato, ma forse meno immediato.
– Vuoi continuare a parlare in rima per il resto della serata?
– Ti supporto esercitando le sinapsi funzionanti, del resto sembra che funzioni, andiamo avanti.
– Dovresti prefiggerti scopi con meno controindicazioni per l’interlocutore.
– Frustrazione?
– Orchite.
– Se ora facessi una battuta sul fantasy più becero, o comunque la letteratura di genere, peggiorerei le cose?
– Drammaticamente.
– Niente più rime, pace. La questione “lettera” come procede?
– Non tanto bene, quei due continuano a darmi il tormento per impedirmi di scriverla.
– Puoi biasimarli?
– Certo che sì e sarò lieto di accontentarti!
– Sofferenza e sarcasmo sono una brutta accoppiata, aggiungi alla doppia “S” una giornata storta e sarai pronto per intraprendere una nuova carriera da serial killer.
– Ne ho già avute a sufficienza, grazie.
– Reo confesso?
– No, pacifista.
– Per le potenziali vittime un bene.
– Mi sento solidale con la categoria.
– Andiamo ragazzino, possibile non ci sia niente da fare?
– Non ho detto questo, anzi. Sono convinto esista un metodo per scolpire la realtà con l’immaginazione, forzare il buio con il lume della volontà e cavarne fuori un’esistenza degna delle nostre aspettative. Purtroppo non ho idea di quale sia.
– Eri partito in quarta e poi hai tirato il freno a mano, brutta storia. Forse devi smetterla di cercare e lavorare alla soluzione con le carte che hai in mano.
– Un orso, i topini di Cenerentola, l’America, il Giappone, la voce in grado di piegarmi, pastelli ed evidenziatori, le dita intrecciate, una tazza con il gatto, la candela rosa, due spazzolini abbracciati, una maglietta sul bordo della coperta, la Signora Pancia, vecchia musica, vecchi film, ciabatte e collutorio.
– Sembra abbastanza per tentare una giocata, sicuro di voler passare?

Il ragazzino sorrise di luoghi e fantasie lontane.

Il ragazzino sorrise di sogni e fughe, di stelle scivolate via dall’auto, tatuate tra le nubi.

Il ragazzino sorrise.

– All-in.

“Caro Leoncino, a domani.”

***

Giorno – 4 –

“Caro Leoncino, ho fatto molta strada per trovare il luogo giusto in cui scriverti…al momento sbagliato. Avendo attraversato un considerevole numero di distrazioni, problematiche, mazze di fallica provenienza – metaforicamente parlando – trovo sia mio preciso dovere provare a gettare tutto ciò che resta di me in queste righe. Molte persone mi prenderebbero a calci nel costato se solo sapessero, ma farebbero perfino di peggio se invece capissero. Un tempo c’eri tu a difendermi, ma ora non mi resta altro che tentare la fuga da un polo all’altro della mia mente, coltivando nel mezzo una buona dose di vecchi ricordi; non sia mai che possano sbocciarne di nuovi. Sono sempre stato orgoglioso del futuro che dipingevi, incredulo di fronte alla maestosità delle tue convinzioni, che vincevano spazio e tempo per saziare chiunque ti camminasse a fianco con formidabili aspettative. Non erano storie, solo promesse. Io non so se ora saresti in grado di riconoscere questo ragazzino con la penna in mano, ma io sono convinto di potermi riconoscere in te e tanto basta per assicurarti il mio affetto. Questo mondo è incredibilmente vasto, conosco poco le ombre che lo abitano, ma tu continua a farmi un po’ di luce, perché questo filo luminoso che tengo stretto al petto è l’unica certezza a non sfilacciarsi quando s’impiglia, del tipo che né l’usura, né gli strappi potranno mai recidere. Non è un cappio, solo il gambo sottile di un palloncino lanciato contro il cielo…un viaggio d’intenti per qualunque direzione tu decida di seguire, ovunque soffi il vento delle tue splendenti aspirazioni. Qualcuno una volta mi disse che le persone vanno sempre via. Qualcuno una volta mi convinse a restare. Sono ancora qui e non c’è nient’altro da perdere. Ti abbraccio forte.

Pollo”

I tre figuri in penombra l’osservavano da sotto il vecchio porticato, dove il pallore della notte stellata non risaliva mai il colonnato, come se le tenebre ricacciassero indietro dettagli e contorni. Il ragazzino piegò il foglietto e se lo ficcò in tasca, voltandosi un solo istante per sorridere a quegli strambi compagni di viaggio che, in un modo o nell’altro, avevano tentato di trattenerlo, dissuaderlo e – in fin dei conti – cambiarlo.

Nel cuore della notte, quando ogni cosa sembrava possibile, un giovane prese a camminare lontano dal porticato, lungo la via che un giorno lo avrebbe ricondotto a casa.

Zero

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